La vita a fatica delle relazioni

Chissà cosa accadrebbe se provassimo a tracciare delle curve di Wohler per descrivere la vita a fatica dei rapporti umani. È il grafico che descrive a quanti “cicli di carico” un materiale è in grado di resistere prima di rompersi. Se lo sforzo raggiunge il limite di rottura, il cedimento è immediato, ma se è più basso? Allora il discorso si fa più complesso, dipende dall’ampiezza, dal numero di cicli e da tante variabili interne ed esterne del materiale. Si chiama “vita a fatica” ed è uno dei problemi più complessi dell’analisi strutturale, le curve citata sono un aiuto fondamentale ma non coprono tutta la casistica possibile.

Ma torniamo alla domanda base.

Uno studio di vita a fatica sarebbe applicabile ai rapporti umani? Forse. Quali “carichi” andrebbero considerati? In linea di principio tutti: obblighi, cambi d’abitudini, osservazioni, recriminazioni, aspettative deluse; tutte andrebbero contate e per ognuna misurato un valore di ampiezza, in base a criteri il più possibile oggettivi. Ci sarebbe una grossa dispersione statistica, certamente, e sarebbe necessario un gran numero di “campioni” prima di ottenere delle curve utilizzabili; ma per tanti materiali non è poi così diverso.

Qual è l’affinità? Che stress (tensioni) elevate e ripetute nel tempo portano a rottura anticipata, mentre tenere basso il numero e l’ampiezza può prolungare la durata del materiale (o del rapporto), fino al limite – peraltro teorico – della vita infinita (finché morte non ci separi). Come per i materiali, ci sono rapporti con tenacità diversa e, altra analogia, i materiali (caratteri) più rigidi tendono a un comportamento fragile mentre quelli più accomodanti (duttili) a sopportare meglio i cicli di carico, sempre se non si esagera.

A complicare l’analogia, c’è che lo spirito è un “materiale” con una certa capacità di auto-rigenerazione, ma non bisogna abusarne, altrimenti il “meccanismo” potrebbe incepparsi. Bisogna misurare la frequenza delle “sollecitazioni” e gli intervalli tra di esse, per capire se ci sono fasi di recupero.

Una volta realizzato il modello, quale sarebbe l’impiego? Semplice, quantificare a monte il rischio di una qualsiasi nuova relazione, prima che si stabilisca o nei suoi primi tempi. Un avvertimento per i partecipanti, insomma.

Lo schema delle sollecitazioni è difficile da determinare: oltre a quelle interne del rapporto (amicale, di coppia, di parentela), ci sono quelle esterne: famiglia, società, media. Se si sommano tutte nella stessa direzione possono portare rapidamente a generare una cricca e a farla espandere fino alla rottura.

C’è una difficoltà ulteriore: in una relazione si uniscono due caratteri, quindi occorrerebbe tenere conto dell’interfaccia. In pratica è una giunzione fra due materiali, quello più tenere si adatta e riduce le sollecitazioni verso quello rigido. Ma se mettiamo due rigidi a contatto, basta un solo carico elevato per raggiungere la rottura fragile!

Ogni persona verrebbe con uno schema delle sollecitazioni che è in grado di sopportare e uno di quelle che a sua volta applica sul partner. Bisognerebbe capire se i due sistemi si incastrano a sufficienza.

Insomma, è possibile un’analisi “a monte”, dotata di un qualche livello di attendibilità, per capire se un rapporto è destinato a durare oppure no? Quanti dati servirebbero, quanta sincerità nel compilare le tabelle e quale livello d’incertezza resterebbe? Si dice che gli esseri umani siano imprevedibili, ma siamo anche noi parte del creato in fondo, soggetti alle leggi della fisica.

E dopo? Se una relazione ha raggiunto il suo limite di fatica e si è “rotta” si può pensare a una ricongiunzione? Diciamo una saldatura? Un bullone o qualche altra giunzione? Processo delicato per i materiali e ancora di più per le persone.

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